• Rimini 150. Dal 1861

  • 1843, nasce il primo stabilimento balneare. 1873, si apre il Kursaal. 1993, il Comune lo celebra nel parco Fellini con una gigantografia di legno. Il 29 agosto 1861 (dal 17 marzo c'è il regno d'Italia) arriva la prima locomotiva sulla ferrovia che dal 4 ottobre ci collega con Bologna. Dal 10 novembre si arriva ad Ancona. Viaggio inaugurale con Vittorio Emanuele II. In stazione, molta gente e pochi evviva, annota Luigi Tonini.
    Dal 1885 nobili e borghesi ricevono dal Comune gratuitamente od a basso costo, appezzamenti e tratti di spiaggia acquistati dallo Stato. Il Comune crea la nuova industria turistica, i privati si dedicano all'edilizia. Fra 1882 e 1902 nasce il liberalismo riminese: municipalizzare le perdite dei privati. Lasciati in pace a guadagnare.
    I poveri del Borgo San Giuliano combattono con tisi, scrofola a tifo. In città le loro case (scrive Domenico Francolini, 1873) sono prive di luce ed aria, ed avvelenano "per tutta la vita il sangue, massime ai bambini". Nel 1855 e nel 1884 ci sono epidemie di colera favorite dalle pessime condizioni igieniche delle case anche di persone agiate. Il primo acquedotto, in poche strade del centro, è del 1908.
    Luglio 1876. Sul "Corriere della Sera" si legge: a Rimini "regna la miseria", c'è mancanza di investimenti sociali. Tra 1882 e 1887 le "Dame della carità" seguono più di 200 persone al giorno "tugurio per tugurio: sono vecchi abbandonati, vedove derelitte, puerpere". Sul finire del secolo, i bambini affidati alla pubblica assistenza sono circa 300.
    La Congregazione di Carità nel 1893 cita una "accozzaglia di femmine disgraziate che, ottenuto dall'Amministrazione un posto ove collocare il proprio giaciglio per la notte", di giorno sono costrette "a recarsi limosinando pel paese, o a rendere qualche piccolo servigio, compatibilmente colla loro età, per procacciarsi un tozzo di pane".
    Nel 1897 il foglio cattolico "L'Ausa" parla dei salariati agricoli periodici, i più poveri tra i lavoratori: miseria estrema, squallore ributtante di angusti abituri per più famiglie. Nel 1906 un giornale forlivese descrive la nostra campagna: abitazioni insane, pellagra, analfabetismo, debiti con i padroni, disoccupazione, senza un patto colonico.
    Dal 1867 Riccione su iniziativa del parroco don Carlo Tonini ospita gruppi di fanciulli bolognesi per le cure marine. Nel 1910 suor Isabella Soleri (1859-1953) con 358 soci fonda l'Aiuto materno e infantile. Nel 1925 vi si aggiunge l'ospedale per bambini.

    Antonio Montanari
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  • Aprile 1936, "il Diario" dell'Azione Cattolica di Rimini, pubblica un articolo di Giulio Cesare Mengozzi sul vescovo della città nel 1831, mons. Ottavio Zollio, passato alla storia per il proclama del 19 febbraio, pubblicato nel bel mezzo della tempesta rivoluzionaria, avviatasi pacificamente da Bologna il 4. La sommossa interessa tutti i territori emiliano-romagnoli dello Stato della Chiesa da Piacenza alla Cattolica, e culmina nella sconfitta militare alle Celle di Rimini, il 25 marzo.
    Zollio nel proclama rassicura che ordine, concordia e pace regnavano tra gli insorti. E raccomanda di mantenere la quiete necessaria a rifiutare i cattivi consigli di quanti miravano al caos.
    Torniamo al 1936. Già nel 1931 l'Azione cattolica riminese ha subìto una persecuzione politica (in linea con le direttive di governo): sacerdoti minacciati, oratorii devastati, circoli degli scouts chiusi. C'è pure l'arresto del presidente dei giovani cattolici, Luigi Zangheri che (ricordava Sergio Ceccarelli nel 1983), deve attraversare il Corso in mezzo ai poliziotti come un malfattore qualsiasi. La cattura di Zangheri è giustificata ufficialmente dal fatto che nei circoli cattolici si erano infiltrati gli antifascisti.
    Nel "Diario" dello stesso 1936 il sacerdote don Giovanni Montali pubblica tra maggio e luglio due articoli che sono una pungente satira nei confronti della nuova mistica fascista. Ed approdano ad un'invocazione al duce, chiamato il "chirurgo provvidenziale" cui toccava il compito di risanare la gioventù italica. Don Montali il 20 giugno 1944 è avvisato da un capo fascista che stanno per catturarlo e fargli la pelle: "Scappi via...". E lui va a San Marino, dai frati di Valdragone. Al ritorno a casa, dopo la liberazione di Rimini (21.9.1944), ritrova in un pozzo i propri fratelli Giulia e Luigi, 59 e 66 anni, uccisi dai nazi-fascisti.
    Nell'articolo di Mengozzi, mons. Zollio appare il simbolo della cultura cattolica liberale capace di intendere soltanto la voce del Vangelo e non gli obblighi del potere temporale. Mengozzi apparteneva ad una famiglia in cui ideali risorgimentali e valori religiosi convivevano, con diretta assunzione di pubbliche responsabilità.
    In una breve antologia sui cento anni dell'azione cattolica riminese (1968), Mengozzi ricordava per il 1937 l'intervento di Benigno Zaccagnini al fianco di Carlo Alberto Balducci, e per il 1938 la presenza di Augusto Baroni, poi docente di Storia della Pedagogia al Magistero di Bologna.


  • Nel 1831 il vescovo di Rimini Ottavio Zollio è protagonista consapevole ed attento della rivoluzione tentata contro il potere temporale della Chiesa.
    In un saggio (1860) di Atto Vannucci sui martiri della libertà italiana tra la fine del 1700 e la prima metà del sec. XIX, si ricorda che Zollio ed il suo collega di Cervia si contrappongono alla Santa Sede nell'offrire un'immagine positiva della situazione. Nelle loro "pastorali stampate attestarono al mondo l'ordine, la concordia e la pace che regnavano fra tutti gli insorti" che il cardinal Bernetti chiamava ribaldi, scellerati e ladri (p. 338).
    Giuseppe La Farina (Storia d'Italia dal 1815 al 1850, II, pp. 93-94) ricorda che Zollio, con la pastorale del 19 febbraio, sbugiarda il cardinale Bernetti, invitando i "laboriosi cultori de' campi" a non dar "luogo a' sospetti che si mediti di strapparvi dai vostri queti focolari per condurvi fra lo strepito delle armi".
    Zollio ben presto finisce nell'elenco di quei sacerdoti sospetti d'intesa con il nemico politico della Chiesa, che qualcuno vedrebbe ben volentieri colpito da censura ecclesiastica.
    Come scriveva Giulio Cesare Mengozzi nel foglio riminese "Il diario cattolico" dell'11.4.1936, nell'estate del 1831 a Rimini appare una nota sui sacerdoti (presunti) "scomunicati" quali "fautori e aderenti agli atti" d'insubordinazione dei liberali riminese, contenente pure il nome del vescovo Zollio.
    Gli avversari della rivoluzione sono non soltanto nelle file dei focosi sanfedisti di cui La Farina cita (II, p. 140) il terribile giuramento: "di versare sino all'ultima goccia il sangue degli infami liberali". Ma si trovano pure nello stesso clero ben esperto delle più ardue questioni teologiche, come quel don Pietro Cavedoni che nel 1832 risponde alla "Lettera" (1831) del riminese don Alessandro Berardi, accusandolo di "scandalo gravissimo" nell'insegnare come lecita la ribellione al potere temporale. Che va invece considerato espressione diretta della volontà divina. Ogni ribellione a questo potere è definita causa di dannazione eterna per chi vi partecipa.
    La lunga, affannosa "Risposta" di don Cavedoni a don Berardi è un documento illuminante sul contrasto fra Reazione e Rivoluzione (per usare termini convenzionali). Ed offre uno spaccato molto analitico della cultura ecclesiastica ufficiale che, alla fine, nella polemica politica, è del tutto accantonata per dare risalto solamente ai fatti ed agli atti amministrativi, ovvero temporali, della Chiesa. Lo spirito del Vangelo diventa un fantasma di cui si perdono del tutto le tracce.
    La Farina può accusare così Bernetti di "pretesca astuzia" nel condurre il gioco diplomatico internazionale quando la Francia protesta per il trattamento riservato da Roma alla Romagna, con i parroci che "incitavano il volgo a fare scempio dei liberali" (II, p. 110).
    Cavedoni invece giustifica tutto ciò accusando i liberali di Romagna di essere imitatori dei peggiori rivoluzionari d'Oltralpe d'ogni tempo. Ovviamente l'exemplum da deprecare, è la rivoluzione del 1789. E fin qui siamo nell'ambito di una logica politica conservatrice. Dove Cavedoni impressiona come un gigante che schiaccia tutto ciò che incontra sulla strada della Politica e della Storia, è nell'ampio corredo della dottrina teologica che fa il Potere un'emanazione da Dio, a cui tutti debbono rispetto e sottomissione. Ogni ribellione è frutto delle tenebre della falsa sapienza (p. 619), perché anche Agostino (oltre gli evangelisti) insegna l'obbedienza ai prìncipi.
    L'antagonismo dottrinario (o dogmatico che dir si voglia) di don Cavedoni, è un complesso sistema che alimenta ciò che, proprio a proposito della rivoluzione del 1831, è definibile come sistema di perfetta Inquisizione: si perseguita chi tenta di svelare la verità. L'Inquisizione cattura gli avversari e li fa sparire per sempre: sono le parole di un diplomatico, il protestante conte Victor Crud, rivolte all'ambasciatore di Russia a Roma, principe Gagarin (in H. Bastgen, "Un promemoria sopra la causa della rivoluzione nello Stato Pontificio nel 1831", RSR, XI, 1924, p. 439).


  • Le idee che muovono la "Rivoluzione di Romagna del 1831" (titolo di un testo di A. Vesi, 1851), sono indagate in un nuovo, fondamentale volume dello studioso Pierluigi Sacchini, presentato il 15 maggio 2011 a San Leo.
    Nel 1831, osserva Sacchini, "non ci sono grandi battaglie, grandi fatti cruenti ma c’è una grossa rivoluzione nelle idee. Queste non ci sono quasi mai negli archivi!". Qui ci sono soltanto gli atti relativi agli avvenimenti "ufficiali”.
    Sacchini presenta un materiale dimenticato (opuscoli alla macchia, bandi clandestini, copie di testi inediti), con il titolo significativo di "1831: Rivoluzione di Idee".
    L’assoluta novità, che offre un’originale lettura di quanto accaduto a Rimini il 10 luglio 1831, è in una sconosciuta "Stampa" affissa nelle vie di Romagna il 16 luglio, ma datata 12 luglio.
    Vi si legge che la sera di quel 10 luglio alcuni giovani in compagnia di ragazze passano cantando sotto l’alloggio del colonnello Domenico Bentivoglio, appena giunto in città con le sue truppe, dopo la partenza di quelle tedesche. Il colonnello non gradisce e spara due colpi di pistola contro gli allegri canterini, imitato dai suoi granatieri che fanno la loro scarica. I feriti sono quattro, uno di loro muore dopo poche ore e si chiamava Giosuè Federici.
    Tutte le testimonianze di cronaca sinora conosciute, recano che il ferito grave era Cesare Federici che muore poi in agosto, chi dice il 19 e chi il 21. Sacchini aggiunge che il 17 luglio in altre due fonti (il "Manifesto” indirizzato dai romagnoli all’ambasciatore d’Austria a Roma, e l’analogo documento inoltrato ai diplomatici di Francia, Inghilterra, Prussia e Sardegna presso la Santa Sede), risulta già un morto nell’incidente del 10 luglio sera.
    La "Stampa" datata 12 luglio è senza dubbio la fonte a cui attinge nel 1883 a Roma David Silvagni (prefetto, 1883-1887, con Agostino Depretis) nel suo libro sulla corte e la società romane tra 1700 e 1800. Dove scrive appunto che l’ucciso era tal Giosuè Federici.
    Cesare Federici è definito dal cronista riminese Filippo Giangi "figlio di pescivendolo". Di Giosuè non sappiamo invece nulla. Sulla scena politica nel 1832 appare un altro Giosuè Federici, qualificato come orefice di Monte Scudolo, arrestato per "canti e beffe contro il papa" e processato il 16.7.1833, come risulta da un saggio del 1940.
    Le nuove idee girano pure come satira politica. A Rimini nel 1831 appare un falso scritto del Bentivoglio sparatore, in cui si parla di una confederazione italiana come in Svizzera ed in Germania.


    Sul libello riminese attribuito a Bentivoglio si legge in Albano Sorbelli (Opuscoli, stampe alla macchia e fogli volanti riflettenti il pensiero politico italiano, 1830-1835, Firenze 1927, p. 117): "Non c’entra affatto il Colonnello Bentivoglio, cui fu affibbiato il lavoro per poterlo meglio diffondere tra gli incauti". Secondo Sorbelli l’opuscolo fu stampato sul finire del 1831, quando Bentivoglio si preparava "a invadere le provincie emiliane coi suoi centurioni".
    A p. 81, Sorbelli osserva su questo libello: "Importantissimo scritto, naturalmente non del Bentivoglio, le cui idee reazionarie son note".

     Pagine sul tema:
    19. Antefatti dimenticati del 1831
    20. Antefatti religiosi del 1831
    21. Antefatti dimenticati. Analisi

    Aggiornamento della pagina, 21.05.2011, 11:30 


  • Rimini 150. In poche parole
    21. Antefatti dimenticati del 1831. Analisi

    Rimini prima dell'Unità d'Italia. Delitti politici, contadini violenti, preti conniventi, un vescovo pacificatore.

    Il testo completo ed aggiornato si legge qui.





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