• Rimini 150. In poche parole 11. Piazza Tre Martiti

    Era stata il centro della città romana, fra arco e ponte uniti dal decumano, ed il cardo Nord-Sud. Poi divenne Piazza Grande o Maggiore e Sant'Antonio. Il primo novembre 1946, nella prima seduta del Consiglio comunale eletto il 6 ottobre, la prima decisione riguarda la piazza, dedicata al ricordo dei Tre Martiri. Mario Capelli (19 anni), Luigi Nicolò (22) ed Adelio Pagliarani (19), appartenenti Gruppi di azione partigiana, sono impiccati dai nazifascisti il 16 agosto 1944. Il 21 settembre Rimini è liberata. Pochi giorni dopo la statua di Giulio Cesare appare decorata da un vaso da notte in testa, un arrugginito ombrello senza telo sul braccio e un mazzo di fiori secchi in mano. Il 20 giugno 1945 essa scompare dalla piazza. Sepolta in un capannone dell'Acquedotto. Il 6 ottobre 1953 torna alla luce alla caserma dell'esercito alla Colonnella. Era un dono di Benito Mussolini (1933) che non amava Rimini, considerandola "Scarto delle Marche e rifiuto della Romagna".
    Alle Idi di Marzo del 1939 il ritmo militare della sfilata davanti alla statua, è inframmezzato da impercettibili passi di ballo sul motivo della "Danza delle ore" di Ponchielli. Il pugile Benito Totti, campione italiano dei medioleggeri, scende dal palco per dare una lezione all'unico che riesce a raggiungere, l'ultimo del corteo, Ennio Macina, figlio di un ex sindacalista che aveva conosciuto il "santo manganel".
    Dopo l'esecuzione capitale dei tre martiri, la polizia di Rimini invia un rapporto al federale fascista di Forlì: "La cattura, nella caserma di via Ducale, di tre ribelli è stata opera personale della intelligente ricerca del Segretario Politico della città di Rimini, coadiuvato da elementi della Feld-Gendarmeria tedesca". Quel segretario è Paolo Tacchi. Al processo di Forlì del 1946, dove è imputato anche per l'uccisione di partigiani e di renitenti alla leva oltre alla "responsabilità presunta" nell'impiccagione dei tre martiri, Tacchi è condannato a morte. Nel 1949 la Cassazione lo assolve per non aver commesso il fatto: l'uccisione dei tre martiri avvenne "per circostanze improvvisamente sorte e non prevedute, per iniziativa e ordine dell'autorità militare germanica". Per Federigo Bigi, Tacchi era "molto più odioso" del comandante delle SS.
    Come ricordava Guido Nozzoli, a catturare i tre ragazzi era stata una squadra delle Brigate nere guidata personalmente da Tacchi, informato da un barbiere che aveva avuto occasione di entrare nella Caserma Ducale.


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