• 16 giugno 1938, Benito Mussolini ispeziona i lavori quasi ultimati per l'isolamento dell'arco d'Augusto, mentre la folla urla «il suo incontenibile entusiasmo [...] in un abbraccio quasi pauroso», scrive «Ariminum».
    S'alza una voce: «Vogliamo la provincia». Più che un desiderio, è un ordine. Il duce, lo sguardo imperioso, forse nascondendo a malapena quel disgusto che nutre naturalmente per la nostra città, è lapidario: «Sulla carta». Come dire, scordatevela.
    Arriva soltanto nel 1992 dopo 18 anni di Circondario, e diventa operativa nel 1995. Ostacoli e rifiuti furono sempre opposti alle richieste della nostra città.
    Politica e deteriore folclore si mescolano in certi scritti fascisti (1921) che definiscono Rimini «città dei rammolliti e dei vili, paese di mercanti e di affittacamere», per aver disertato il funerale di Luigi Platania, ucciso il 19 maggio di quell'anno.
    Platania, 31 anni, è uno dei fondatori nel 1919 dei fasci di combattimento dopo esser stato anarchico ed interventista. Ha fatto la «settimana rossa», combattuto in Libia e nella grande guerra. Mutilato e pluridecorato, figura tra i fascisti più accesi.
    Su di lui correvano voci di misfatti compiuti a Cesena ed a Pesaro. Durante la «settimana rossa» Platania fu sospettato del furto di una cassaforte compiuto assieme a Carlo Ciavatti detto «il monco», al quale avrebbe sottratto parte del bottino ricevendone la minaccia: «Faremo i conti».
    C'è un altro Platania sulla scena cittadina. 1922, sabato 28 ottobre, giorno della marcia su Roma, e domenica 29 anche Rimini è occupata. Durante la presa del carcere alla Rocca malatestiana un fascista di Foligno, Mario Zaccheroni, è ucciso da fuoco amico per mano appunto di Giuffrida Platania, fratello di Luigi ed allora direttore della «Penna fascista», che tenta il suicidio «per scrupolo eccessivo» (scrive «L'Ausa»).
    Mussolini ricordava i giudizi di quegli scritti fascisti del 1921, confortato pure dalle opinioni ufficiali locali come quella del federale Ivo Oliveti che in un convegno indetto appunto sulla richiesta riminese, lanciò una specie di anatema chiedendo ai presenti: «Vi vergognate forse di appartenere alla provincia del Duce?».
    Il quale aveva insignito Rimini d'una etichetta rimasta celebre: «Scarto delle Marche e rifiuto della Romagna».

    Dalla provincia al provincialismo.
    Leggiamo alcune pagine di Guido Nozzoli sulla Rimini tra le due guerre: «Con tutte le sue pretese di modernità e di cosmopolitismo era - ce ne saremmo accorti più tardi - una cittadina provinciale di gusto quasi ottocentesco, con tante ville circondate da cespugli di oleandri e di ligustri, qualche solido albergo di stile floreale, la litoranea sonnecchiante fino al tramonto in una sua aristocratica solitudine, e una rete di viali e vialetti, per metà di terra battuta, fiancheggiati dalle cancellate e dalle siepi di qualche orto».
    Prosegue Nozzoli: «L'unica opera nuova che mutasse non sgradevolmente la sua fisionomia fu il lungomare 'di Palloni'. Tra il porto e l'Ausa, nel tratto di spiaggia più elegante, il lungomare cancellò le dune - 'i muntirun' - e divenne subito il ritrovo pomeridiano dei bagnanti, l'equivalente estivo del Corso d'Augusto per i riminesi seduti a gruppo sulla lunga balaustrata all'ora del passeggio o pigramente ronzanti in uno sfarfallio di biciclette. Il centro di quel firmamento, il perno di quella giostra, era il Caffè con orchestra di Zanarini, dove si videro i primi gagà spregiatissimi dal fascismo (erano poi tutti figli di fascisti) prendere l'aperitivo seduti sul marciapiede. Tenuta quasi di rigore: la maglia a girocollo blu da cui spuntavano colletti immacolati [...]».
    Morale della favola: «Sembrava tutto nuovo, ed erano le ultime frange dell'800», conclude Nozzoli.


  • Rimini 150. Dal 1861Nel 1861 un terzo dei cittadini vive delle industrie e delle attività portuali, settori messi in ombra dallo sviluppo del turismo. Avviato nel 1843 dallo Stabilimento balneare. Il primo luglio 1873 apre il Kursaal, con annesse la Piattaforma e la Capanna svizzera.
    Scampato pressoché indenne alle bombe dell’ultima guerra, è distrutto dalla volontà di scrivere una nuova pagina politica durante la ricostruzione. Era «la scomoda memoria storica di una attrezzatura d’élite» (G. Gobbi Sica).
    Lo demoliscono gruppi di disoccupati guidati da sindacalisti. Stessa sorte per la parte sopravvissuta del teatro Vittorio Emanuele II. Il sindaco del 1948 Cesare Bianchini (Pci) dice che Kursaal è «una bruttura» da eliminare.

    L’inondazione del Marecchia nel 1866 danneggia tutte le strutture dello stabilimento. Il 21 settembre 1868 il Consiglio comunale vota a favore della gestione pubblica dei bagni. Ne soffriranno soltanto le casse pubbliche.
    Nel 1876 nasce l’Idroterapico (demolito nel 1929). A Riccione nel 1878 sorge un ospizio marino, analogo a quello riminese del 1870 per bambini scrofolosi, vicino all’Ausa.

    Dal 1885 ai nobili ed ai ricchi borghesi il Comune inizia a cedere gratuitamente od a basso prezzo, appezzamenti e tratti di spiaggia acquistati dallo Stato (F. Silari).
    Il Comune crea la nuova industria turistica. I privati si dedicano all’edilizia, un considerevole incremento delle ville fra 1882 e 1902. Esaurita la prima fila comincia l’edificazione interna.

    Nasce un nuovo modello di liberalismo: municipalizzare le perdite dei privati, e contemporaneamente promuoverne le rendite (G. Conti).
    Il Comune non può intervenire per mancanza di mezzi sull’altra faccia di Rimini, caratterizzata dalle condizioni arretrate di vita nella città vecchia e nei borghi.
    Quello di San Giuliano, racconta Achille Serpieri, è «minacciato da un lato dalle fiumane, dall’altro dai flagelli dei mostri dove si annidano signore la tisi, la scrofola e il tifo».

    Su «Il Nettuno», periodico fondato da Domenico Francolini, il 15 agosto 1873 si parla delle «abitazioni dei Poveri», «semenzai di miasmi pestilenziali, case che avvelenano per tutta la vita il sangue, massime ai bambini con la scrofola e colla tisi»: «non luce, non aria, umidità senza fine, e angustia tale che le celle dei condannati sono assai più comode».
    Gli «abitatori di queste bolge infernali, massime i ragazzi» appaiono «squallidi, macilenti, cogli occhi infossati e col pallor della morte sul viso».


  • Rimini 150. Dal 1861

    La popolazione del Comune di Rimini del 1862 è calcolata per 4 rioni di città (Cittadella, Montecavallo, Pataro, Clodio), per 4 borghi (Sant'Andrea, San Giovanni, San Giuliano, Marina) e per la campagna. In tutto ci sono 33.272 persone. Metà nella campagna (16.398) e metà (16.874) fra rioni (10.413) e borghi (6.416). 
    Le famiglie sono 6.349. La media di persone per nucleo è di 5,24. Le case abitate sono 4.432. In ognuna la media degli occupanti è di 7,50 persone. Le case vuote sono 155.

    Il primo censimento regio, tenutosi l'anno prima (1861), registrava un dato ulteriore. La popolazione di fatto era sempre di 33.272 (17.427 maschi e 15.845 donne), mentre la popolazione di diritto scendeva a 32.860 (-412).
    Poco cambia nel 1871 (33.886 persone), con un aumento totale di 614 unità (+1,85%), delle quali 499 sono in campagna.

    Meritano un confronto i dati delle singole zone, registrati nel 1862 e nel 1871. I rioni scendono da 10.413 a 9.747 (-666 unità, -6.40%). I borghi crescono di 781 unità (+12,09%), passando da 6.461 abitanti a 7.242. Infine la campagna: quei 499 abitanti aumentati sono un +3,04%.

    Uno sguardo generale sui dati riportati, indica fra 1862 e 1871 questi punti:
    1) la popolazione totale aumenta di 614 unità (+1,85%);
    2) i 4 rioni di città con 666 abitanti in meno, perdono un 8,12% nel 1871 (quando scendono al 28,76%) rispetto ai dati globali del 1862 (quando sono il 31,3%);
    3) la popolazione dei borghi aumenta di 781 unità, con un dato relativo all'incidenza degli stessi borghi sull'intera popolazione pari al +16.02;
    4) per la campagna, le 499 persone in più fanno crescere il dato relativo alla sua popolazione dal 49,28 al 49,86%, ovvero c'è un aumento dell'1,18%.
    Morale della favola: il centro della città (rioni) perde abitanti che vanno soprattutto nei borghi.

    Siamo qui al 1871. Per curiosità diamo un'occhiata ad inizio secolo. Gli abitanti registrati a Rimini Comune sono 21.581 nel 1816. Saranno 33.552 nel 1865, 34.799 nel 1870, e 33.886 nel 1871 come si è già visto.

    Possiamo infine confrontare il 1833 con il 1865. I rioni aumentano complessivamente di 344 unità (da 9.586 abitanti a 9.930). I borghi passano da 4.629 a 6.363 unità (+1.734).
    L'aumento maggiore è quello nel borgo Sant'Andrea (+979) con un +188% della popolazione (da 521 a 1.500 persone).
    Il borgo Marina nonostante l'avvio del turismo, sale soltanto del 17,67%, passando da 1.590 a 1.871 unità.

    Nel 1859 gli aventi diritto al voto per il Municipio sono 2.500. Per le elezioni politiche del 1860 gli iscritti sono 575. Nel 1913 gli aventi diritto al voto passano da 6.466 a quasi 22 mila con il suffragio universale diretto.


     

    All'indice di queste pagine su Riministoria.


  • Rimini 150. Dal 1861Alla folla oceanica del fascismo si arriva dopo la "grande guerra". I marinai sono i primi a rimetterci. Tra i più anziani c'è chi distrugge «quei trabaccoli la cui costruzione era costata lunga fatica e penosi sacrifici» (G. Facchinetti).

    Il biennio 1919-1920 passa fra bandiere rosse, camicie nere ed occupazioni contadine delle terre.
    Lo sciopero generale (1919) per il «poco pane» avviato dai ferrovieri, costringe il Comune a dimezzare i prezzi di tutti i prodotti.

    I proprietari fondiari non accettano di riformare il patto colonico. I contadini iniziano (luglio 1920) lo «sciopero delle vacche», durato otto giorni. Le portano dalle campagne ai padroni.

    Durante lo sciopero generale del primo luglio 1920 un possidente di San Lorenzo in Strada, Secondo Clementoni (44 anni), è ucciso. Tre anni dopo stessa sorte per suo figlio Pietro (23), ex presidente della locale cooperativa 'bianca' di consumo.

    La Sinistra vince le elezioni comunali (17.10.1920). Arriva il «biennio nero» 1921-22 con lo squadrismo giustificato da «L'Ausa» (organo dei popolari di don Sturzo): «Le oppressioni selvagge e vigliacche dei socialisti non si contano più. Con questi degenerati bisogna tornare al medio evo ed instaurare la legge del taglione».

    Il movimento fascista nasce ufficialmente in un albergo di piazza Cavour (24.4.1921). Il giorno prima su «L'Ausa» un articolo firmato G. (don Domenico Garattoni?) incensa il santo manganello: «La violenza fascista ha portato realmente un grande bene alla Nazione, purificando l'aria dai pestiferi bacilli rossi».

    Il foglio socialista «Germinal» ha anticipato (24.12.1920) la costituzione del fascio, descrivendo «un gran daffare tra i figli di papà mangiasocialisti di Rimini e qualche pezzo grosso del fascismo forestiero», non esclusi alcuni reazionari di San Marino.
    A Serravalle prima delle elezioni politiche del 15 maggio 1921 avviene il ferimento mortale del dottor Carlo Bosi. Che era con il figlio Vittorio, noto squadrista, vero obiettivo dell'agguato.

    Dalle urne locali escono primi i socialisti con 2.528 voti in meno. I comunisti al debutto ne prendono 2.198. I popolari 4.560 (+1.120 sul 1919).
    Il 19 maggio 1921 è ucciso Luigi Platania (31 anni). Anarchico, fondatore dei fasci, combattente in Libia ed interventista andato al fronte, ha fatto pure la «settimana rossa». Quando fu sospettato del furto di una cassaforte assieme a Carlo Ciavatti, al quale avrebbe sottratto parte del bottino. Ricevendone una minaccia che a Ciavatti costa 14 anni di galera.


  • Rimini 150. Dal 1861Rileggiamo le vicende di Rimini dopo l'Unità d'Italia, attraverso qualche parola. Cominciamo da "popolo".


    Piace ai politici, è tenuto d'occhio dai pulizai. Novembre 1861 (il regno d'Italia è nato il 17 marzo), viaggio inaugurale della ferrovia Bologna-Ancona. Il re Vittorio Emanuele II sosta in stazione sul mezzogiorno, per uno spuntino. Scrive Luigi Tonini: «Gran concorso di gente, donne, popolo, ma pochissimi evviva».

    Nel settembre 1888 un altro re, Umberto I, visita lido e Kursaal. Nel luglio 1900 arriva l'anarchico Gaetano Bresci. Con la rivoltella portata da Paterson (New Jersey). Come ricordava Guido Nozzoli, si esercita nel cortile di palazzo Lettimi, sotto gli occhi di Domenico Francolini, repubblicano poi socialista ed anarchico, che vi abita quale marito di donna Costanza Lettimi.

    Bresci è ospitato nel borgo San Giuliano dall'oste anarchico Caio Zanni, arrestato dopo il regicidio (29 luglio) e trasferito al carcere di San Nicola di Tremiti.

    Da palazzo Lettimi (lo testimoniava una lapide dettata nel 1907 da Domenico Francolini), s'erano mossi «nel 1845 gli audaci rivoltosi, preludenti l'italico risorgimento», guidati da Pietro Renzi. Quando «tutta Romagna ribolliva», e Rimini era «una delle città riscaldate» (L. Tonini).

    10 settembre 1912, è firmato il nuovo patto colonico riminese che non soddisfa i socialisti e che (osserva «L'Ausa») è applicato da «troppo pochi proprietari». Le agitazioni nelle campagne continuano e sfociano nella «settimana rossa» (giugno 1914).

    Il 25 luglio 1914 arrivano i deputati repubblicani. Sono contro l'intervento a fianco dell'Austria. Il 26 Benito Mussolini grida sull'«Avanti!» che dirige: «Abbasso la guerra!». Tocca al «proletariato d'Italia» muoversi per non farsi condurre «al macello un'altra volta». 

    L'«altra volta» è la guerra di Libia. Anche per le imprese coloniali sono morti molti nostri giovani: in Eritrea, in Somalia (Carlo Zavagli è il più noto) ed in Libia.

    Il 2 agosto Roma sceglie la neutralità. Mussolini dal suo nuovo giornale «Il Popolo d'Italia» vuole l'intervento. Per realizzare la rivoluzione sognata durante la «settimana rossa».

    «L'Ausa» lo definisce «un ciarlatano ombroso e un arrivista qualunque» da fischiare e spazzar via. Prima lo aveva elogiato come «battagliero nemico delle ipocrisie e delle mezze coscienze, pieno di rude franchezza romagnola».

    Il pomeriggio del 23 maggio 1915 i carabinieri a cavallo annunciano a tromba la guerra. Rimini avrà 644 caduti.





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