• I tormenti del giovane Serra

    Rivelati da parti censurate delle lettere

    Un Renato Serra inedito in alcune parti delle sue lettere a Luigi Ambrosini, racconta la disavventura che nel dicembre 1911 stava per costargli la vita. Il giorno 4 scrive all'amico che una palla di pistola gli ha traforato un braccio. La mattina dopo il "Carlino" titola: "Le sanguinose ire di un meccanico di Cesena. Sfregia la moglie e ferisce un professore". Lo ha salvato il portamonete di cuoio, che sua madre per errore ha posto nel taschino destro della giacca, anziché in quello sinistro dove stava abitualmente, dopo avergli spolverato il vestito.

    Serra è stato ferito anche ad un orecchio. Il procuratore del re lo fa piantonare, perché ha sparato "un colpo solo, con una pistola che non funzionava", dopo che l'altro gli "aveva già rotto la testa" con una sbarra di ferro e sparato il colpo fermato dal borsellino.

    All'amico, il 13 dicembre Serra spiega che quel marito non era stato tradito. Segue la parte censurata: "Ci fu qualche chiacchiera e ogni cosa cadde", con quella donna "vuota e vana". Un'amica di lei aveva messo una pulce nell'orecchio del meccanico geloso, e spinta la di lui signora ad incontrare Serra. Il quale precisa: "forse era un agguato". L'incontro non c'è, e Serra conclude: "Ma sono stanco di questa roba. Solo qualche volta mi tocca pensare al momento in cui quest'uomo uscirà: ché i giurati assolvono sempre".

    Intanto la madre di Serra chiede ad un amico del figlio, Alfredo Grilli, di portarselo a Torino, lontano dalle tentazioni. Ad Ambrosini, Serra confida: "Io sono a Cesena, ignoto impiegato di una biblioteca". Vorrebbe andarsene anche per le botte prese, ed evitare in futuro altri brutti incontri con quel marito (senza fondamento) geloso.

    Quattro anni dopo (7.6.1915) Serra, richiamato alle armi come tenente di complemento in fanteria, scrive (è la parte nota): "La Romagna piena di volontari, che andranno a combattere sul serio ma non hanno ancora capito che cosa sia fare il soldato; Forlì, Cesena vuote...". E poi l'inedito: "Domani andrò a Bologna a farmi la radiografia del cranio" (era rimasto ferito gravemente in un incidente stradale). Ha già visto la prima linea: "L'unica cosa seria è oggi star zitti; guardare e notare tutte queste cosette che alla fine avranno un significato indimenticabile...".

    Il 20 luglio 1915 Serra è colpito a morte in trincea, "chi dice per disgrazia chi per desiderio" osserva Andrea Menetti curatore del volume ("Mio carissimo", Parma 2009). A Menetti va il merito di una ricerca che qui produce 70 delle 442 lettere scambiate fra Serra ed Ambrosini (ed annotate con cura), per presentarci il lato più intimo dello scrittore cesenate.
    Come in questo passo (già noto) del 1908: "... quel che ci vuole per gli altri, per farsi largo, per farsi strada, per scrivere, per operare, per fare, non l'ho". Sa che la sua intelligenza non è inferiore a nessun'altra. Ma questo non basta "per farsi strada". Già tre anni prima ha confidato di considerarsi "ancora inesperto dell'azione".

    Le parti inedite sottolineano le inquietudini di un critico di genio del Novecento europeo, che si crede soltanto "ignoto impiegato" della Malatestiana. E che è stato censurato quando nel 1953 appare il suo epistolario, "per dare una certa immagine di Serra", come sottolinea Menetti.


    Serra e Decio Raggi
    morti nella "grande guerra"


    Su "Tre romagnoli alla Grande Guerra" (don Carlo Baronio, Decio Raggi e Renato Serra) l'associazione "Benigno Zaccagnini" di Cesena ha pubblicato un volumetto, con gli interventi di Roberto Iacuzzi, Giovanni Maroni, mons. Rino Bartolini e Dino Pieri.
    Raggi e Serra sono illustrati da Pieri, noto studioso del bibliotecario malatestiano, sul quale ha composto pagine fondamentali. Di Raggi, Pieri ricorda l'attività di consigliere ed assessore a Sogliano, e la fede per cui si fece terziario francescano. Serra era invece un laico, ma uscito dal circolo studentesco di mons. Giovanni Ravaglia. Don Baronio, suo cappellano militare, lo incontrò sul fronte del Podgora, mentre stava scrivendo una lettera. Serra non volle confessarsi, e lo disse gentilmente, permettendo al sacerdote di andare a parlare ai soldati della sua compagnia.
    Spiega Pieri che Raggi non amava la guerra, ma era pronto a sacrificarsi per l'unità della Patria, mentre è "più sofferto e travagliato il pensiero" di Serra. Si racconta qui la storia della sua famiglia con tradizioni risorgimentali, e quella di un suo testo fondamentale nella cultura italiana del Novecento, "Esame di coscienza di un letterato" uscito poco prima della sua morte ("oscura e sciupata", l'aveva predetta), in combattimento il 20 luglio 1915. Quattro giorni dopo, il 24 luglio, si spegne Decio Raggi, ferito il 19.
    Entrambi erano nell'XI reggimento fanteria, composto quasi interamente di romagnoli, inviati in una delle zone più calde del fronte. Secondo Pieri, "probabilmente proprio per punire coloro che nel giugno 1914 avevano organizzato in Romagna la Settimana rossa". Importante la correzione che Pieri fa a Croce circa un giudizio secondo cui Serra "riduceva la guerra per la Patria a cosa poco diversa da un fremito voluttuoso".

    Antonio Montanari, 2010

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