• Il 18.2.1861, nominato senatore l'anno prima (29.2), il "possidente" e "nobile di servizio" Alessandro Manzoni partecipa a Torino alla prima seduta del parlamento, "testimoniando così quella sua piena adesione al Risorgimento, che in più occasioni aveva dimostrato con le sue odi civili, con i suoi figli combattenti sulle barricate milanesi del 1848" (G. Getto).

    Prima della nomina a senatore, Manzoni ha rifiutato onori politici prestigiosi: "quel Senato era il simbolo dell'unità della patria ch'egli aveva sempre auspicata" (P. Bargellini). Nel 1862 Manzoni riceve la visita di Garibaldi nella casa di via Morone, come si vede nell'opera dipinta nel 1863 da Sebastiano De Albertis (1828-1897), conservata al Museo del Risorgimento di Milano.

    Le prime liriche civili di Manzoni nascono tra 1814 e 1815. Il fallito tentativo di Gioacchino Murat di coalizzare le forze italiane contro l'Austria nel 1815, gli suggerisce l'incompiuto "Proclama di Rimini", pubblicato soltanto nel 1848. Vi si legge quel famoso verso 34, "Liberi non sarem se non siam uni", che Manzoni stesso giudicò "brutto". Ribadiva F. Martini sulla "Nuova Antologia" (1894): si tratta di uno dei più brutti versi mai fatti da Omero in poi, con cui però s'afferma una grande verità.

    La spedizione di Murat ed il suo proclama da Rimini agli Italiani che voleva renderli liberi ("... l'ora è venuta che debbono compiersi gli alti destini d'Italia. La Provvidenza vi chiama infine ad essere una nazione indipendente"), sono eventi che "aguzzavano il sentimento nazionale: l'unità d'Italia non era più un tema rettorico, era uno scopo serio, a cui si drizzavano le menti e le volontà" (F. De Sanctis).

    "Appena Murat, entusiasta della marcia di Napoleone in Francia, invase lo Stato pontificio e lanciò il proclama di Rimini, che invitava gli italiani all'indipendenza, l'Austria di Metternich poté additarlo come aggressore e dichiarargli guerra" (U. Castagnino Berlinghieri). Illuso da speranze che i fatti dovevano poi crudamente smentire, il 15 marzo Murat aprì la guerra proclamando poi il 31 marzo l'indipendenza dell'Italia. Fu breve la sua fortuna: "Gli Austriaci lo vinsero in campo; i popoli lo disertarono nella sventura, e il 20 Maggio [...] il nome di Gioachino Murat cancellavasi a Casalanza dal novero dei Re" (F. Mistrali, 1857). A "Casa Lanza", un'antica masseria nei pressi di Capua, a Pastorano (Caserta), fu firmato il trattato tra l'esercito austriaco e quello di Murat re di Napoli.


  • Il nome della città di Rimini risuona nel parlamento del Regno d'Italia il 3 dicembre 1861. Il deputato Angiolo Brofferio tratta il tema dell'ordine pubblico, già affrontato dall'aula il 2 aprile con parole molto dure circa la mancanza di sicurezza pubblica nel novello Stato. Il che significava, era stato detto, pienissima libertà accordata ai ladri ed al ladrocinio. 
    Ma non è tutta colpa del regno d'Italia. Secondo fogli bolognesi del tempo, l'ordine sociale delle nostre terre era già stato turbato dalle scarcerazioni concesse dopo l'annessione del marzo 1860. Si rimpiange il vecchio sistema, tuttavia accusato di usare il pugno di ferro senza guardare troppo a tutte le virgole ed a tutti i punti negli ordini di carcerazione.

    Il moto di Rimini del 1845
    In un volume del 1869, emblematicamente intitolato "Storia dei ladri nel Regno d'Italia", un capitolo è riservato al capo della Polizia di Torino, Filippo Curletti. Il quale "invece di arrestare i ladri e gli assassini era di balla con loro, li aiutava di sottomano, li soccorreva di lumi, di mezzi, di armi, li difendeva dall'essere scoperti ed arrestati, e partiva con loro l'infame bottino". Curletti nel 1859 era stato condotto con sé da Massimo D'Azeglio a Bologna per governare le Legazioni sottratte al Papa. 
    D'Azeglio è l'autore di un celebre testo legato alle vicende risorgimentali di Rimini, "Gli ultimi casi di Romagna" (1846), dove scrive: "Io stimo intempestivo e dannoso il moto di Rimini" del settembre 1845 che, guidato da Pietro Renzi, ha portato ad un effimero governo provvisorio. I suoi capi fuggirono per mare o ripararono in Toscana dove furono arrestati. Secondo D'Azeglio, pochi uomini non avevano il diritto di giocare con un tiro di dadi "la sostanza, la quiete, la libertà, la vita di un numero incalcolabile" di concittadini.
    Curletti da Bologna va poi a Firenze, Perugia e Napoli. Dovunque con la fama di essere "capo di assassini". Alla fine del 1860, "i bolognesi scrissero una petizione perchè il conte di Cavour, che dicea di averli redenti dal Papa, li redimesse dai ladri".

    Brofferio, che tradì i compagni
    Nel libro del 1869 si cita anche Rimini, partendo dagli "Atti parlamentari" (p. 1313) che riportano l'intervento di Brofferio del 3 dicembre 1861: "Quello che accade a Bologna, o signori, accade parimenti a Ferrara, ed a Cesena, ed a Forlì, ed a Rimini, e dovunque". Brofferio aveva aggiunto: "Il Governo non si accorge che la sua polizia è composta d'uomini i quali non hanno rossore di trattare coi ladri, cogli assassini, coi malfattori d'ogni specie. Sì, o signori, coi ladri e cogli assassini, i quali, come si rivelò ne' criminali dibattimenti, comprano l'impunità dividendo colla polizia l'infame bottino".
    L'Italia non è ancora nata, e già si cerca di smontarla proprio nel meccanismo più delicato sotto il profilo politico, quello dell'ordine pubblico.
    Brofferio (1802-1866) fu giornalista, poeta, avvocato penalista, e leader della sinistra costituzionale di Torino. Che guida assieme a Lorenzo Valerio (1810-1865), direttore di periodici popolari ispirati al suo convincimento che "l'ignoranza è la massima e la peggiore delle povertà". Valerio siede in parlamento dal 1848 sino alla morte, battendosi per l'istruzione pubblica e l'obbligo scolastico. 
    Brofferio è un "gran parlatore, grafomane, gigione", simpatico a Cavour (G. Dell'Arti). Quando conosce il carcere per motivi politici, si dedica alla satira in versi per minare con il ridicolo il campo dell'avversario (P. Bargellini). Nel 1831 ha partecipato alla congiura dei "Cavalieri della Libertà". Arrestato, ha fatto i nomi dei compagni in cambio dell'impunità. I "Cavalieri" sono una loggia massonica operante dal 1830, con ramificazioni nella stessa Guardia reale. Nella "Storia di Torino" (1959) di Francesco Cognasso (1886-1986), essi sono definiti "ingenui retori, che parodiavano la rivoluzione del 1821". (A proposito di Massoneria: a Forlì dal 1818 era attivo un Capitolo Rosa-Croce che dipendeva dal Grande Oriente di Toscana, secondo il gesuita Michele Volpe, autore di un'importante storia del suo Ordine a Napoli, ivi 1914-15.)
    Laurana Lajolo (2003) ricorda che Brofferio "condusse una battaglia per l'abolizione della pena di morte e della tortura, per la quale presentò un progetto di legge, che, a sorpresa, fu approvato, ma il governo non diede corso al provvedimento. La sua passionalità di tribuno lo portava, con coerenza politica, ad esaltare gli ideali ed era appagato dal discorso ad effetto, sempre condotto a braccio con un'assoluta naturalezza, che affascinava l'uditorio".

    I delitti di Rimini
    Sono toni "ad effetto" anche quelli usati quando cita Rimini. In sua difesa, va detto che i giornali bolognesi del tempo denunciano le stesse cose. Il "Corriere dell'Emilia", diretto da Gioacchino Napoleone Pepoli (destinato a brillante carriera politica), annota nel giugno 1860: "E' vergogna che in una città civile come Bologna non si possa essere sicuri della propria vita". Pepoli è figlio di Letizia Murat, quindi nipote di Gioacchino, quello del proclama di Rimini del 1815.
    A proposito dell'esser sicuri della propria vita, le paure della gente sono legate anche agli episodi di violenza accaduti negli anni precedenti. A Rimini fra 1847 e 1859 undici persone sono vittime di delitti politici. Il più famoso riguarda nel 1856 un francese "rivoluzionario", Vittorio Tisserand, cancelliere del vice consolato di Francia a Rimini, imprenditore e marito della contessina Mariuccia Ricciardelli, commerciante. Il 19 marzo 1864 sarà ucciso il sarto Nicola Nagli, ex carbonaro, agente segreto antipontificio, poi Commissario di Polizia dopo la fine del governo papale nel 1859. Sia Tisserand sia Nagli sono stati eletti in Consiglio comunale nel 1849, all'epoca della Repubblica romana, con 288 e 239 voti su 372 elettori.

    Tonini accusa la libertà
    Le notizie riminesi su questi atti di violenza politica sono molto scarse. Le dobbiamo agli appunti di Luigi Tonini che non si dilunga sul tema, assumendo un tono di censura verso i nuovi tempi, corrotti dal diffondersi della "libertà". Tonini infatti "alla realtà del suo tempo aderì molto scarsamente", come osservò lo studioso Mario Zuffa, bibliotecario della Gambalunghiana. 
    Delitti simili avvengono pure nelle Marche. In un testo relativo a Pesaro-Urbino (di Stefano Lancioni e Maria Chiara Marcucci, Fano 2004), si legge: "Il Risorgimento fu un'età di nobili passioni e generose battaglie, ma anche di assassinii di nemici politici o personali, organizzati ed effettuati da affiliati alle società segrete, che mascheravano talvolta vere e proprie sette omicide. Già nel 1847 si contano gravi fatti di sangue nella nostra provincia [...]. A Fano il 3 gennaio 1848 fu ferito a pugnalate da ignoto il conte Luigi Borgogelli, conservatore; alla fine dello stesso mese fu assassinato da ignoti il direttore postale della città metaurense, contrario alle riforme. Assassinio eccellente il 4 febbraio 1848 a Pesaro: fu pugnalato a morte Giuliano Fiocchi Nicolai, segretario generale della legazione di Urbino e Pesaro, patrizio pesarese e in procinto di iniziare un impiego di prestigio a Roma".
    Fu scritto che l'assassino dagli amici al caffé "ebbe battimani e vino [...]. Non si appurò da chi venne l'idea né chi commissionò il delitto, ma nessuno dubitò che la morte del Nicolai venne ideata e decisa fra la gioventù liberale ed esaltata" della città.
    "Negli ultimi mesi del 1848 si fece gravissima la situazione dell'ordine pubblico soprattutto a Senigallia", con la fazione repubblicana che fu chiamata "lega degli ammazzarelli", per i numerosi omicidi di cui fu responsabile in quegli anni. A Pesaro "un gruppo di popolani 'democratici' defezionò dalla società carbonica e, sotto la guida di Giulio Grilli, cominciò a riunirsi" nell'osteria di Angelo Lombardi assumendo il nome di "Lega Lombarda". Pure l'oste fu assassinato.

    Saccheggio a Pesaro
    Per spinta della "Lega lombarda" il 19 novembre 1848 la folla "saccheggiò il palazzo apostolico senza che nessuno intervenisse; il 22 il popolo assalì una barca carica di generi alimentari, distribuiti al popolo. [...] Il 19 gennaio 1849 si registrano anche gravi disordini a Senigallia (fu assalito l'appartamento del Vescovo); in quella città il problema principale era però costituito dal mantenimento dell'ordine pubblico", messo in crisi dalla setta "degli ammazzarelli", che "sparse il terrore, tra la fine del 1848 e i primi mesi (almeno fino ad aprile) del 1849, con un'impressionante serie di omicidi: la situazione di terrore, completamente sfuggita di mano ai patrioti locali, si protrasse fino all'arrivo degli Austriaci".
    Torniamo a Rimini ed al 1860, quando Giuseppe La Farina, siciliano, carbonaro e massone, ricorda la nostra città in un suo proclama indirizzato nel maggio ai soldati italiani al servizio del Borbone e del Papa: "La bandiera sacra de' tre colori è inalberata da Susa a Rimini...". Altra memoria locale, tratta dal "Rapporto intorno all'attacco ed alla presa del Forte di S. Leo" del 28 settembre 1860, è questa: "Nel nostro ingresso nella città di Rimini ci si presentò un commovente spettacolo della popolazione che si gettava ai nostri piedi baciandoci la mano per averla salvata dal dispotismo della guarnigione austriaca che occupava il loro paese, e nella sera un'illuminazione generale festeggiava il fausto avvenimento".
    Dagli "Atti parlamentari", 2 dicembre 1861: "Il sindaco di Rimini trasmette un'istanza della ditta Legnani per diminuzione del prezzo del sale occorrente alla fabbricazione della soda".


    Scheda.

    Manzoni ed "Il Proclama di Rimini" del 1815

    Il 18.2.1861, nominato senatore l'anno prima (29.2), il "possidente" e "nobile di servizio" Alessandro Manzoni partecipa a Torino alla prima seduta del parlamento, "testimoniando così quella sua piena adesione al Risorgimento, che in più occasioni aveva dimostrato con le sue odi civili, con i suoi figli combattenti sulle barricate milanesi del 1848" (G. Getto).

    Prima della nomina a senatore, Manzoni ha rifiutato onori politici prestigiosi: "quel Senato era il simbolo dell'unità della patria ch'egli aveva sempre auspicata" (P. Bargellini). Nel 1862 Manzoni riceve la visita di Garibaldi nella casa di via Morone, come si vede nell'opera dipinta nel 1863 da Sebastiano De Albertis (1828-1897), conservata al Museo del Risorgimento di Milano.

    Le prime liriche civili di Manzoni nascono tra 1814 e 1815. Il fallito tentativo di Gioacchino Murat di coalizzare le forze italiane contro l'Austria nel 1815, gli suggerisce l'incompiuto "Proclama di Rimini", pubblicato soltanto nel 1848. Vi si legge quel famoso verso 34, "Liberi non sarem se non siam uni", che Manzoni stesso giudicò "brutto". Ribadiva F. Martini sulla "Nuova Antologia" (1894): si tratta di uno dei più brutti versi mai fatti da Omero in poi, con cui però s'afferma una grande verità.

    La spedizione di Murat ed il suo proclama da Rimini agli Italiani che voleva renderli liberi ("... l'ora è venuta che debbono compiersi gli alti destini d'Italia. La Provvidenza vi chiama infine ad essere una nazione indipendente"), sono eventi che "aguzzavano il sentimento nazionale: l'unità d'Italia non era più un tema rettorico, era uno scopo serio, a cui si drizzavano le menti e le volontà" (F. De Sanctis).

    "Appena Murat, entusiasta della marcia di Napoleone in Francia, invase lo Stato pontificio e lanciò il proclama di Rimini, che invitava gli italiani all'indipendenza, l'Austria di Metternich poté additarlo come aggressore e dichiarargli guerra" (U. Castagnino Berlinghieri). Illuso da speranze che i fatti dovevano poi crudamente smentire, il 15 marzo Murat aprì la guerra proclamando poi il 31 marzo l'indipendenza dell'Italia. Fu breve la sua fortuna: "Gli Austriaci lo vinsero in campo; i popoli lo disertarono nella sventura, e il 20 Maggio [...] il nome di Gioachino Murat cancellavasi a Casalanza dal novero dei Re" (F. Mistrali, 1857). A "Casa Lanza", un'antica masseria nei pressi di Capua, a Pastorano (Caserta), fu firmato il trattato tra l'esercito austriaco e quello di Murat re di Napoli.


  • L'uccisione di Nicola Nagli nel 1864 suscita vasta eco. Gli amici lo ricordano come operaio instancabile, padre di famiglia accurato, patriota animoso, indefesso, integro che per 40 anni ha sfidato ogni tempesta della tirannia a riscatto della comune madre Italia. Il sottoprefetto Viani scrive: "Il vile assassino sente in oggi che non sono più i tempi che il Governo reggevasi coll'immoralità, e la Giustizia poggiava sulla corruzione e la debolezza".
    Alla Società di Mutuo Soccorso, di cui è stato promotore, il presidente Alessandro Baldini ne ricorda le virtù di padre di famiglia, instancabile ed umile artigiano, benefattore che non guardava alle idee di chi bussava alla sua porta ed accoglieva pure chi gli aveva recato offese gravissime. Nagli ha ereditato il sentimento politico del padre Lorenzo, a cui le aspirazioni al nazionale risorgimento costarono prigionie e sciagure. Aborriva tutti i segretumi e l'ipocrisia di chi aveva mire ambiziose celate sotto lo scopo di patrio riscatto. Da uomo del partito liberale (il Comitato riminese è del 1853) vide dissensi e divisioni come sorgenti di lotta e di debolezza.
    Prima di Nagli, fra 1847 e 1859 a Rimini altre undici persone sono vittime di delitti politici: Massimiliano Pedrizzi mercante di cereali (1847); il figlio del notaio Giacomo Borghesi, un cappellaio, l'avv. Mario Fabbri, ed il falegname Tamagnini colpito per sbaglio al posto di Michele Barbieri fervente sostenitore del papa (1848); il presunto autore dell'uccisione del cappellaio, e don Giuseppe Morri molto caldo contro i liberali (1849); il caldo papalino dottor Raffaele Dionigi Borghesi (1850); il vicesegretario del Comune Antonio Clini che si occupava molto di politica (1854); il francese Vittorio Tisserand sposo della contessina e commerciante Mariuccia Ricciardelli (1856); il cappellaio Terenzo (1859).
    Tisserand, cancelliere del vice consolato di Francia a Rimini, ha aderito alla Giovine Italia e predicato idee rivoluzionarie pure ai lavoratori delle sue imprese: fornaci, distillerie e vigneti. Fu vicepresidente del Circolo Popolare capeggiato da Enrico Serpieri, che ha propagandato l'opposizione al governo pontificio. Nel 1849, sotto la Repubblica romana, è stato eletto consigliere comunale con 288 voti su 372 elettori. Nicola Nagli ne ha avuti 239. In tutta la nostra regione ai tripudi attorno agli alberi della libertà, ha scritto U. Marcelli, allora si alternano attentati fratricidi fra rivoluzionari e reazionari.


  • Una cometa nell'estate del 1860, racconta Carlo Tonini, fa presagire fatti funesti. Garibaldi il 5 maggio è partito da Quarto con i Mille. Il 17 marzo 1861 è proclamato il regno d'Italia. L'annuncio arriva verso la sera del 18. Suonano il campanone e molte bande militari. Addobbi ai balconi, bandiere, spari, luminarie, fuochi artificiali. L'11 e 12 marzo 1860 si è votato per l'annessione alla monarchia costituzionale di Vittorio Emanuele II o per il regno separato. Da una settimana i borghesi avevano messo al cappello un nastro tricolore. La vittoria dell'annessione (con 4.800 sì) era prevista. Delle poche schede stampate per il regno separato, soltanto due ne finiscono nelle urne. Hanno votato anche tutti i braccianti che lavorano alle fortificazioni. Gli hanno passato la giornata di 24 bajocchi.
    Il 25 marzo 1860 alle prime elezioni politiche partecipano soltanto 258 dei 575 iscritti, appartenenti al vasto collegio che comprende Rimini ed altri dieci Comuni, da Verucchio a Morciano e Cattolica. I volontari dello stesso territorio alla guerra del 1859 sono circa il doppio degli aventi diritto al voto. L'astensionismo si ripete nel novembre 1870, due mesi dopo Porta Pia, alle elezioni per la Camera: il repubblicano Aurelio Saffi è sconfitto dal liberale conte Domenico Spina che al ballottaggio ottiene 211 voti contro 184. La seconda votazione si è resa necessaria per il basso numero dei partecipanti alla prima (341 su 911 iscritti).
    Nel marzo 1860 Ruggero Baldini è divenuto assessore nella prima Giunta comunale riminese dopo l'annessione al regno di Sardegna. Alla politica era giunto attraverso la guerra: nel 1848 aveva guidato 478 volontari riminesi. Cinque di loro erano morti a Cornuda e Vicenza. Tutti appartenevano alle classi più umili. Anche per la Repubblica romana nel 1849 ci sono state cinque vittime. Tra gennaio e marzo 1859 sono partiti per il Piemonte 2.448 volontari romagnoli.
    Il 19 marzo 1864 per la festa di san Giuseppe, scrive Luigi Tonini, i Democratici fanno la solita dimostrazione in onore di Giuseppe Mazzini e di Giuseppe Garibaldi. La giornata si conclude con l'uccisione di un noto liberale, il sarto Nicola Nagli. Ex carbonaro ed agente segreto antipontificio, eletto in Consiglio comunale nel 1849 al tempo della Repubblica romana, nel 1859 finito il governo papale il 21 giugno notte, diventa Commissario di Polizia, attento a mantenere l'ordine pubblico. Forse gli costa la vita l'aver difeso un sacerdote aggredito da alcuni militari.


  • Era stata il centro della città romana, fra arco e ponte uniti dal decumano, ed il cardo Nord-Sud. Poi divenne Piazza Grande o Maggiore e Sant'Antonio. Il primo novembre 1946, nella prima seduta del Consiglio comunale eletto il 6 ottobre, la prima decisione riguarda la piazza, dedicata al ricordo dei Tre Martiri. Mario Capelli (19 anni), Luigi Nicolò (22) ed Adelio Pagliarani (19), appartenenti Gruppi di azione partigiana, sono impiccati dai nazifascisti il 16 agosto 1944. Il 21 settembre Rimini è liberata. Pochi giorni dopo la statua di Giulio Cesare appare decorata da un vaso da notte in testa, un arrugginito ombrello senza telo sul braccio e un mazzo di fiori secchi in mano. Il 20 giugno 1945 essa scompare dalla piazza. Sepolta in un capannone dell'Acquedotto. Il 6 ottobre 1953 torna alla luce alla caserma dell'esercito alla Colonnella. Era un dono di Benito Mussolini (1933) che non amava Rimini, considerandola "Scarto delle Marche e rifiuto della Romagna".
    Alle Idi di Marzo del 1939 il ritmo militare della sfilata davanti alla statua, è inframmezzato da impercettibili passi di ballo sul motivo della "Danza delle ore" di Ponchielli. Il pugile Benito Totti, campione italiano dei medioleggeri, scende dal palco per dare una lezione all'unico che riesce a raggiungere, l'ultimo del corteo, Ennio Macina, figlio di un ex sindacalista che aveva conosciuto il "santo manganel".
    Dopo l'esecuzione capitale dei tre martiri, la polizia di Rimini invia un rapporto al federale fascista di Forlì: "La cattura, nella caserma di via Ducale, di tre ribelli è stata opera personale della intelligente ricerca del Segretario Politico della città di Rimini, coadiuvato da elementi della Feld-Gendarmeria tedesca". Quel segretario è Paolo Tacchi. Al processo di Forlì del 1946, dove è imputato anche per l'uccisione di partigiani e di renitenti alla leva oltre alla "responsabilità presunta" nell'impiccagione dei tre martiri, Tacchi è condannato a morte. Nel 1949 la Cassazione lo assolve per non aver commesso il fatto: l'uccisione dei tre martiri avvenne "per circostanze improvvisamente sorte e non prevedute, per iniziativa e ordine dell'autorità militare germanica". Per Federigo Bigi, Tacchi era "molto più odioso" del comandante delle SS.
    Come ricordava Guido Nozzoli, a catturare i tre ragazzi era stata una squadra delle Brigate nere guidata personalmente da Tacchi, informato da un barbiere che aveva avuto occasione di entrare nella Caserma Ducale.





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