• La piazza nasce nel 1888. Il "giuoco del piccone" sacrifica l'antico isolato di edifici religiosi, tra cui la chiesa di san Tommaso attestata dal 592. Prende poi il nome da Luigi Ferrari Banditi, ucciso nel 1895. Primo sindaco della città dopo l'unificazione e deputato al parlamento romano nel 1848, è rieletto nel 1882, 1886, 1890 e il 26 maggio 1895. Pochi giorni dopo, la sera del 3 giugno s'azzuffa in via Garibaldi con sei estremisti che lo insultano. Ferrari è ferito alla trachea con un colpo di pistola dal calzolaio Salvatore Gattei, 28 anni, un anarchico ex repubblicano e con precedenti penali, poi condannato a 17 anni di carcere.
    Ferrari muore la mattina del 10 giugno. Si pensa ad un movente politico. Come gli altri tre colleghi romagnoli eletti con lui, è passato dalle posizioni democratiche della Sinistra moderata a quelle legalitarie, sino a divenire sottosegretario agli Esteri nel primo governo Giolitti (1892). Il foglio cattolico L'Ausa accusa la Massoneria da cui Ferrari s'era staccato.
    Il 2 agosto 1874 sul colle di Covignano, nella villa di Ercole Ruffi erano stati arrestati 28 dirigenti repubblicani tra cui Domenico Francolini, Achille Serpieri, Camillo Ugolini, Aurelio Saffi (successore di Mazzini scomparso nel 1872), ed Alessandro Fortis che diverrà giolittiano e sarà presidente del Consiglio tra 1905 e 1906. All'ordine del giorno della riunione, la collaborazione con anarchici e garibaldini in vista di un'insurrezione nazionale prevista per l'8 agosto. Gli arrestati sono fatti salire sul treno per Ancona, diretti a Spoleto. Nelle varie stazioni di transito, racconta Achille Serpieri, li accoglie il popolo plaudente che offre liquori, vino, "salami ed altro ben di Dio". Il 25 ottobre tutti sono prosciolti dall'accusa di cospirazione.
    Il 5 agosto a Bologna è arrestato Andrea Costa. Nella notte tra 7 ed 8 agosto quasi tutti i partecipanti al moto sono bloccati. Michail Bakunin fugge da Bologna travestito da prete. Sempre d'agosto, due anni dopo, Costa riunisce a Rimini un congresso clandestino per fondare il partito socialista rivoluzionario di Romagna, con cui nelle elezioni del 1882 entra alla Camera. Le quattro elezioni di Amilcare Cipriani (1886-1887), candidato dell'estrema sinistra, sono state annullate dal governo. 
    La statua (1939) di Francisco Busignani, morto nel 1936 in Africa, rimanda ai sacrifici voluti dalla follia fascista. L'opera è di Elio Morri. A posare fu Gaetano Frioli, poi preside del Valturio.


  • Era la piazza del Corso. Un po' prima, del Duomo vecchio o Santa Colomba, grande chiesa romanica risorta a nuova vita nel 1329 e consolidata nel 1675. Salvatasi dalla furia demolitrice di "Sigismondo che aveva costrutto la rocca dov'erano le sue case" e che aveva abbattuto l'antico Episcopio insieme a due cappelle, al vecchio battistero ed al convento di santa Caterina (C. Ricci, 1924). "Né, infine, l'abbatté Clemente VII" che era stato consigliato in tal senso nel 1526 da Antonio da Sangallo il giovane, per spostare la cattedrale nella chiesa di san Francesco, il che avviene nel 1809.
    Santa Colomba "fu demolita nel 1815, quando il castello non minacciava più. Rimase solo in piedi il largo campanile, convertito in casa privata. E ai demolitori il giuoco del piccone piacque tanto", sottolineava Ricci, "che due lustri dopo si volsero ad esercitarlo ai danni del castello...". Nel 1798 Santa Colomba subì l'affronto dei francesi invasori impadronitisi di Rimini il 5 febbraio 1797. Essi la ridussero a caserma, mentre cattedrale divenne San Giovanni Evangelista.
    Il 22 dicembre 1854 davanti alla Rocca malatestiana il boia mozza il capo a Federico Poluzzi detto Bellagamba, fratello di Laura, madre dell'oste anarchico Caio Zanni che ospiterà Gaetano Bresci di passaggio da Rimini verso Monza. L'accusano di aver ucciso don Giuseppe Morri mansionario della cattedrale. Ma "tra chi lo conosceva, si sussurrava che altri fossero gli uccisori di don Morri e che lui avesse rinunciato a difendersi presentando un alibi per non compromettere la moglie di un fornaio con cui aveva trascorso in intimità l'ora in cui era stato ucciso don Morri" (G. Nozzoli).
    Il carnefice, venuto con la macchina per l'esecuzione da Ancona, era "un umaz cun e capel dur, e tòt ner com un bagaron", ricordava Augusta Gattei che allora aveva sette anni. Gli spettatori litigavano per accaparrarsi un posto da cui godere meglio la scena, i soldati faticavano ad arginarli e "i ragneva", dando spintoni a tutti. Bellagamba gridò: "Morte ai tiranni e sempre viva la libertà". L'Augusta raccontava: "L'era bèl. Drét com'un fus e spaveld". Il suo ultimo desiderio, "un pizzunzein arost, un bicér d'mistrà e un Virginia", sigaro di marca.
    Oggi tra il rudere del teatro e lo sfondo solenne di Castel Sigismondo, la piazza resta simbolo del "giuoco del piccone" che ha fatto tanti danni negli ultimi 150 anni. Come nel 1948 con il Kursaal del 1873, per volere del vicino Palazzo Comunale.


  • Le bombe lo hanno scoperchiato. La città lo ha conservato come un rudere muto. Invece ha molto da raccontare. Come testimoniava la lapide dettata nel 1907 da Domenico Francolini, nel 1845 da palazzo Lettimi con il proprietario conte Andrea si muovono "gli audaci rivoltosi, preludenti l'italico risorgimento", guidati da Pietro Renzi.
    Protestano contro il potere "stolidamente dispotico". Tra 23 e 26 settembre formano un governo provvisorio, poi si sciolgono fuggendo per mare o riparando in Toscana (dove sono arrestati), all'arrivo degli svizzeri pontifici. Il loro moto è reso celebre da "Gli ultimi casi di Romagna" di Massimo D'Azeglio.
    Domenico Francolini (1850-1926) è un borghese prima repubblicano, poi socialista ed infine anarchico. Abita lì con la moglie, donna Costanza Lettimi (1856-1913). Amico di Giovanni Pascoli, nel 1878 sul "Nettuno" gli pubblica una lirica scandalosa, "La morte del ricco", che finisce con la condanna: "che muoia disperato". Francolini lo ha conosciuto tra novembre 1871 ed estate 1872, mentre Zvanì in misere condizioni economiche e con la testa piena di pensieri ribelli frequentava la seconda classe del liceo comunale a palazzo Gambalunga. Da dove Francolini, che aveva cinque anni di più, era appena uscito.
    Gaetano Bresci (1869-1901), l'anarchico giunto dall'America, si esercita nel cortile di palazzo Lettimi prima di recarsi a Monza per regolare il 29 luglio 1900 i conti con Umberto I. Ospitato nel borgo San Giuliano dall'oste Caio Zanni (1851-1913), Bresci usa la rivoltella portata da Paterson (New Jersey) sotto gli occhi di Francolini. Zanni, noto alle autorità come anarchico, è arrestato dopo il regicidio e trasferito al carcere di San Nicola di Tremiti. Con Bresci era la sua compagna Teresa Brugnoli, che a Paterson ha lasciato una figlia diciassettenne.
    Gennaio 1943, al secondo piano di palazzo Lettimi risiede Guido Nozzoli, classe 1918. Lo arrestano a Bologna sotto le armi, per "attività politica contraria al regime" mediante volantini intitolati "Non credere, non obbedire, non combattere", e per il possesso di libri esteri proibiti ma venduti sulle bancarelle. Con lui finisce dentro Gino Pagliarani, l'autore dei volantini. Nel 1944 Nozzoli riesce a salvare San Marino dal bombardamento a tappeto preparato dagli alleati. Dopo la liberazione di Rimini, sale sulle macerie di casa. Anche la statuina di sant'Antonio, un ex voto per il terremoto del '16, è stata mutilata dalle bombe.

    [Testo apparso su "il Ponte" di Rimini, il 9.1.2011. Alcuni passi sono ripresi dalla puntata web n. 1, "Popolo".]


  • Per il ferragosto del 1936, quello delle picconate di Mussolini all'arco d'Augusto, si organizza al Kursaal il festival della canzone italiana diretto dal maestro Antonio Di Jorio (1890-1981). Un testo dice: «Vorrei toccare le tue coscette fresche…». Non piace, è poco virile, per niente militarista.
    Valfredo Montanari raccontò a Gianni Bezzi («il Resto del Carlino», 13.2.1962): «Il vero successo si ottenne l'anno successivo. Il 5 agosto 1937, cinquemila persone affollarono il parco del Kursaal» che non era soltanto «il più raffinato edificio della città» ma anche uno dei 'personaggi' che «diedero la loro impronta, la loro voce, il loro spirito alla storia di una marina che accolse gente di ogni Paese».
    Come ogni bella idea riminese, non va avanti. Per il festival, nel dopoguerra ad imitarci ci pensa Sanremo. Dove (1951) si sente un “Grazie dei fior”. Rivolto a Rimini?


  • La Rimini degli Anni Trenta, grazie a Federico Fellini ed al suo «Amarcord» (1972), diventa simbolo di «un mondo sbagliato, meschino, gretto e violento».
    Nel film c'è Lello, lo «zio Pataca». Diceva Fellini: «Pataca da noi significa un uomo da poco, un farfallone, che vive ai margini sognando cose difficili, assolutamente lontane dalle sue possibilità».
    Lello tradisce il cognato antifascista presso cui vive da vitellone parassita, facendogli infliggere la lezione dell'olio di ricino. 
    Per Oreste Del Buono, «Amarcord» fa «un discorso civile» in cui non c'è quell'autobiografismo come luogo comune e scontato di cui parlano i «critici superficiali» all'apparire del film.
    Natalia Ginzburg osserva: «Mai mi era successo di vedere evocati gli anni della mia giovinezza, e il fascismo di allora, con tanta verità e tanto orrore».
    Il fascismo, spiega la scrittrice (vedova di Leone Ginzburg, ucciso dalle sevizie subìte come antifascista nel 1944 a Regina Coeli), era «sordido, miserabile, atroce».
    Allora i giovani ne conoscevano «bene soltanto gli aspetti grotteschi. Quelli tragici» li avrebbero «capìti più tardi». In questo film, concludeva Natalia Ginzburg, riconosciamo «il fascismo bevuto e respirato senza che lo sapessimo». Nelborgo di «Amarcord» c'è coralmente l'Italia.
    Il cognato «pataca» più che un «uomo da poco, farfallone o sognatore», pare piuttosto l'uomo «da niente», senza moralità e dignità. In apparenza è gelido e noncurante. In sostanza si dimostra una perfetta carogna.
    E se dal tono leggero della raffigurazione scendiamo nei labirinti della Storia, se dal grottesco ci avviamo cautamente verso il tragico, allora vengono alla mente pagine ancora peggiori di quegli anni. Quando una soffiata era ricompensata con un cartoccio di sale, e ci scappava il morto, frutto ed oggetto di delazione politica.
    Lello è un traditore, un brutto ceffo, non una simpatica canaglia od un compassionevole illuso. Per Alberto Moravia, la Romagna che «Amarcord» racconta, è «senza deformazioni satiriche e fantastiche». 
    Lo «zio Pataca» con la sua azione di delatore, è protagonista non isolato di un clima ben evidente nella sequenza del grammofono che dall'alto del campanile diffonde le note dell'«Internazionale». E nella scena degli oppositori portati alla casa del fascio, con la predica del gerarca paralitico: «Quel che addolora, è che non vogliano capire».
    Valerio Riva scrive che a quel punto allo spettatore, «Amarcord» appariva non più e soltanto «una antologia di ricordi», ma «un grosso film politico, il più esplicito, almeno in questo senso, che abbia fatto Fellini».
    Lo zio Lello rappresenta una delle tre categorie umane che ci accompagnano nel cammino esistenziale. Le altre due sono quella alquanto rara di chi disprezza la menzogna, e in nome della verità è disposto a sopportare tutto. E quella (alquanto diffusa) di quanti per convenienza si celano nel proprio «particulare» e fingono di non vedere per non aver rogne. Anche loro tradiscono i reciproci doveri su cui si basa l'umana convivenza.
    «Amarcord» dimostra, secondo Miro Gori, «come una città di provincia, con la sua vita futile e uggiosa, possa diventare, nelle mani di un 'poeta', l'ombelico del mondo».
    Fellini in «Amarcord» narra Rimini con quel misto di odio e di nostalgia che sono il lievito d'ogni memoria: anche se il film «per l'autore non doveva apparire come il rispecchiamento di situazioni e personaggi reali» (Tullio Kezich).
    Nel 1990 Cinzia Fiori sul «Corriere della Sera» chiama Rimini una città a due facce, l'antico borgo e la marina tutta cemento selvaggio che fa venire la nostalgia del passato: «Siamo all'amarcord di Amarcord», conclude. Federico sempre lontano, tuttavia sempre presente.
    Con il suo mondo oscillante tra favola e verità, egli offre un'utile chiave di lettura delle vicende più recenti di Rimini, ogni volta diversa ma alla fine eternamente uguale a se stessa.
    Sospesa tra mito e realtà come un canovaccio di Federico, Rimini è sempre alla ricerca di un'identità definita ma non definitiva nel divenire inquieto dell'attuale società globalizzata.





    Suivre le flux RSS des articles de cette rubrique