• Cultura a Rimini tra 1600 e 1700.

    Cultura a Rimini tra 1600 e 1700.
    Una mappa europea delle idee.

    Introduzione.

    Il Sito riminese di Raffaele Adimari (Brescia, 1616) esce come rielaborazione di pagine «sparse» composte dal dottor don Adimario Adimari, rettore di Sant'Agnese e figlio del cavalier Nicolò.
    Mons. Giacomo Villani (1605-1690) attribuì erroneamente il Sito all'olivetano di Scolca (al Covignano) padre Ippolito Salò, matematico, nipote di mons. Paolo che fu al servizio del cardinal Carlo Borromeo.
    Raffaele Adimari ricevette in dono le 62 carte «sparse» (Elogio del sito riminese, ms. 617, BGR) di don Adimario il 20 dicembre 1605 dal nobile Francesco Rigazzi che le possedeva (Schede Gambetti 111 e 113 fasc. 1; 25, fasc. 76, BGR).
    Rigazzi è il fondatore del collegio dei Gesuiti di Rimini. Nel 1610 dopo aver diseredato il figlio Giovanni Antonio («un bastardo criminale», lo definisce), lascia usufruttuaria la moglie Portia Guiducci. Alla di lei morte, i beni finiranno ai Gesuiti «col patto però, che detti padri siano tenuti a fondare in Rimino un Colegio nel quale siano obligati à gloria di Jddio et à benefitio della mia carissima patria insegnare, et fare tutte quelle operationi, che fanno ne gli altri Colegj d'Italia sì di legere publicamente come di ogni cosa solita da farsi da loro nell'altre».

    Nel 1619, 1622 e 1626 («donatio inter vivos»), Rigazzi conferma le sue volontà. Dal 1627 i Gesuiti cominciano ad operare a Rimini. Nei giorni di Carnevale introducono una novità che provoca proteste: predicano in piazza. Il 14 giugno 1631 aprono la loro prima chiesa nel granaio di Rigazzi, con il nome di San Francesco Saverio. Il 22 agosto, Rigazzi muore. La vedova apre ai Gesuiti un pezzo della sua casa, dove da novembre s'inizia «la scola».

    Torniamo agli Adimari. Le ricerche sulla loro genealogia hanno tormentato le più belle intelligenze locali. I risultati pervenutici confermano che la Storia può a volte essere più fantastica che veritiera, non per secondi fini ma semplicemente per eccesso di presunzione degli scrittori.
    Il 23 agosto 1750 Giuseppe Garampi (a Roma dalla fine del 1746) attiva l'abate riminese Stefano Galli che gli scrive il 27 di aver consultato il manoscritto delle Famiglie riminesi di Raffaele Brancaleoni, non trovandovi «cosa veruna» di Raffaele Adimari o notizie per stabilire il suo grado di parentela con Adimaro. Galli nel Diario de' Morti (1610-1634) del canonico Giacomo Antonio Pedroni vede citato un Raffaele figlio di Pietro che però non ha sangue nobile essendo di «famiglia cittadinesca» [1].
    Né Garampi né Galli avevano evidentemente letto il Sito di Adimari, dove l'autore (II, p. 54) dichiara che la congiura del 1498 contro Pandolfo Malatesti fu organizzata in casa dei suoi «antecessori», il cavalier Nicolò e «Adimario suo Padre».

    Quando esce nel 1616 il Sito, era già compiuto da due anni il palazzo di Alessandro Gambalunga la cui prima pietra è del 1610. Gambalunga muore il 12 agosto 1619 lasciando al nostro Comune sia il palazzo (costato settantamila scudi) sia la biblioteca posta «nella stanza da basso». In Emilia si aprono molto dopo le biblioteche di Modena (1750), Ferrara (1753), Bologna (Universitaria, 1756), Parma (1769) e Piacenza (1778).
    Alessandro Gambalunga è nipote di un maestro muratore lombardo approdato poi alla mercatura, e figlio di un commerciante «da ferro» arricchitosi con gli affari e le doti di quattro matrimoni. Nel 1583 circa a trent'anni si è laureato in Diritto civile e canonico a Bologna per fregiarsi del titolo, più pregiato di quello nobiliare che aveva acquisito e che oggi è giudicato «dubbio».

    Sul «tronfio quanto spiantato ceto patrizio locale» ricordiamo quanto il bolognese Angelo Ranuzzi, referendario apostolico e governatore di Rimini, annota nel 1660: «Vi sono molte famiglie antiche e nobili che fanno risplendere la Città, trattandosi i Gentiluomini con decoro et honorevolezza, con vestire lindamente, far vistose livree et usar nobili carrozze: nel che tale è la premura et il concetto fra di loro, che si privano talvolta de' propri stabili, né si dolgono di avere le borse essauste di denari per soddisfare a così fatte apparenze».

    Nel 1617 esce il primo tomo del Raccolto istorico di Cesare Clementini (1561-1624) che sarà completato dal secondo apparso postumo nel 1627. Severo il giudizio di Carlo Tonini: l'opera «eccetto che nella parte che comprende i tempi a lui più vicini, è in molta parte un tessuto di equivoci o granchi», e «basta che una notizia sia data da lui solo perché venga accolta con riserva e con sospetto» (Coltura, II, p. 144).
    Nel 1582 Clementini entrò in Consiglio comunale, ricoprendo numerose cariche (fu capo-console) e svolgendo importanti incarichi diplomatici.

    Sia Clementini sia Adimari raccontano la favola della fondazione di Rimini da parte di Ercole citando un frammento («Ariminum a comitibus Herculis conditum») attribuito a Marco Porzio Catone da un noto «impostore» umanista, Annio di Viterbo ovvero il domenicano Giovanni Nanni (1432-1502) che nel 1498 aveva pubblicato i diciassette volumi delle Antiquitatum, una raccolta di brani inventati di sana pianta ma presentati come opera di scrittori greci e romani selezionati da Beroso sacerdote Caldeo (III-II secolo a. C.): si va dalla creazione del mondo al diluvio.
    Anche l'illustre Carlo Sigonio (1520?-1584) era stato tratto in inganno da Annio circa le origini di Bologna nell'opera del 1587 composta quale storiografo ufficiale (nominato nel 1568).

    Raffaele Adimari è ricordato nelle cronache oltre che per il Sito anche per un'altra impresa curata diligentemente nell'agosto 1613: il trasporto da Recanati a Rimini della statua dedicata a Paolo V, divisa in tre blocchi.
    Paolo V, eletto il 16 maggio 1605, era il successore di Clemente VIII che il 10 febbraio 1605 aveva punito Rimini, sottomettendone il vescovo (sino ad allora assoggettato al pontefice) all'arcivescovo di Ravenna, Pietro Aldrobandini suo nipote. Clemente VIII morì poco dopo, il 27 aprile.
    Proposta nel 1610, approvata l'anno successivo (non sapendo però «dove pigliare i denari») ed inaugurata nel 1614, la statua fu segno di ringraziamento al papa per la nomina a cardinale (1608) del concittadino Michelangelo Tonti, arcivescovo di Nazaret, il quale era stato festeggiato con pubbliche manifestazioni di giubilo culminate in disordini, e descritte da Carlo Tonini come «colmo di gioia» e «straordinaria libertà non divietata da alcuno».
    Alla fine, per merito della gioventù, radunata in casa d'Ercole Paci, cavaliere di Santo Stefano, se ne andarono in fumo botti, tavolati delle botteghe e persino le panche delle chiese e delle scuole con danni per tremila scudi (Storia, V, II, pp. 677-678).
    Altri disordini si verificano nel 1615, con la distruzione del ghetto degli Ebrei situato in via Sant'Andrea, in un tratto che andava dall'oratorio di Sant'Onofrio alla cosiddetta «Costa del Corso»: «e in quella occasione si vide l'odio popolare contro quella gente», osserva Carlo Tonini che poi nel suo Compendio giudica l'episodio «di minor momento» e quindi da trascurare (C. Tonini, Storia, V, I, 410; Compendio, II, p. 322).

    La rivolta popolare contro gli Israeliti nel 1615 è favorita dall'atteggiamento persecutorio di alcuni nobili, tra cui va ricordato un personaggio di spicco nella vita romana ed in quella politica italiana, Giovanni Galeazzo Belmonti.
    Nell'ostilità contro gli Ebrei gioca un ruolo fondamentale pure la propaganda antisemita svolta dai padri Girolomini o Romiti di Scolca, che convincono il cardinal legato Domenico Rivarola ad ordinare l'abbattimento dei due portoni del ghetto posto lungo la contrada di Sant'Andrea (via Bonsi), nel tratto che va dall'angolo verso piazza Malatesta degli attuali Bastoni Occidentali detti allora «Costa del Corso», sino all'oratorio di Sant'Onofrio. Questo oratorio era di proprietà dei padri Girolomini sin dal 1494.
    La cronaca di mons. Villani data al 15 giugno la demolizione delle porte del ghetto, dal quale la «perfida gens Iudeorum» aveva ricevuto già l'ordine di allontanarsi [Cfr. C. Tonini, VI, 2, p. 760].
    Dell'antisemitismo secentesco restano profonde tracce nelle pagine composte da Carlo Tonini sue secoli e mezzo dopo: «Così la Città nostra ebbe il contento di vedersi liberata da quella odiata gente» [Cfr. C. Tonini, VI, 2, p. 761].
    I fatti del 1615 sono raccontati con toni sbrigativi, utili soltanto a dichiarare la pubblica felicità per la 'partenza' di gente a cui erano attribuite soltanto scelleratezze, come testimonia una cronaca di Anonimo [questa cronaca, datata 1728, racconta le vicende riminesi a partire dall'anno 1601] in cui leggiamo che la cacciata degli Ebrei avvenne «per le infinite indegnità che commettevano contro la nostra Santa Fede, ed imagini de' Santi, ed altre enormità le quali non è da me dirle».

    Nota. Il titolo di queste pagine, «Cultura a Rimini tra 1600 e 1700» restringe la cronologia iniziale di qualche anno perché, «in buona sostanza» (come diceva un personaggio di telefilm di successo), occorrerebbe partire dalla chiusura del Concilio tridentino, durato dal 1542 al 1563. Ma scrivere un titolo come «Cultura a Rimini dall'età post-tridentina a quella napoleonica» mi sembrava un poco sovrabbondante.


    Bibliografia.
    La «cronaca di Anonimo» che troviamo cit. in Carlo Tonini (cfr. VI, 2, p. 761), è il «Compendio di Storia riminese fino al 1726 posseduto già dal sacerdote D.n Luigi Matteini», come si legge in altro testo di C. Tonini, il tomo II della sua Coltura letteraria, Rimini 1884, p. 532.


    F. G. Battaglini, Memorie istoriche di Rimino, ed. an., Rimini 1976
    P. Delbianco, La biblioteca Gambalunghiana, in «Storia illustrata di Rimini», IV, Milano, 1991, pp. 1121-1136
    G. Rimondini, I Gesuiti a Rimini, 1627-1773, Rimini 1992, passim
    C. Casanova, La storiografia a Bologna e in Romagna, «Storia dell'Emilia Romagna», II, Imola 1977
    Per la statua di Paolo V, cfr. il volume Paolo V in Rimini, Arengo Quaderno n. 3, 2004

    Per le vicende ebraiche del XVIII sec., cfr. A. Montanari, Fame e rivolte nel 1797. Documenti inediti della Municipalità di Rimini, «Studi Romagnoli» XLIX (1998), Stilgraf, Cesena 2000, pp. 671-731; e Furore dei marinai, «Studi Romagnoli» LIII (2002), Stilgraf, Cesena 2005, pp. 448-511.


    Per le vicende ebraiche, si veda anche «L'heretico non entri in fiera». Società, economia e questione ebraica a Rimini nei secoli XVII e XVIII. Documenti inediti.
    Storia degli Ebrei a Rimini. Serie completa degli scritti.

    Antonio Montanari