• Divertimento assicurato per chi vuol conoscere i segreti della nostra città, nelle poche pagine di Curzio Maltese, uscite in un quotidiano nel 2006 e poi in volume nel 2007. Il titolo ("I padroni delle città") appare inutile per le pagine che ci riguardano. Quello del capitolo è soltanto un drammatico grido: "A Rimini non c'è il mare". Perché il vero riminese a Marina non ci andrebbe mai, ma farebbe le vacanze soltanto d'inverno ai Tropici.
    Maltese, come ogni bravo inviato speciale, s'è fidato troppo delle confidenze ricevute da qualche amico occasionale. Come dimostra l'indice finale nel quale Umberto Bartolani è detto capo della goliardia locale. O la conclusione del capitolo dove s'inventa il funerale di Fellini con orazione di Sergio Zavoli davanti al Fulgor, mentre si tenne in piazza Cavour.
    Tra gli episodi celebri che dovrebbero riassumere la mentalità riminese, c'è l'incontro tra Fellini e Pasquini, famoso "datore di luci" nei dancing: Che cosa fai di bello Nino? Io niente e te Federico? Maltese scrive che mai una scena felliniana fu girata a Rimini. Ma il Cinema (con la maiuscola) è somma finzione per cui la vera spiaggia di Rimini vitellona del 1950 era Ostia.
    Per non parlare dei turisti che portati a visitare l'Arco di Augusto declamerebbero un solenne: "Ma questo l'anno scorso non c'era". Non mancano voci sagge. Piero Meldini spiega la città-frontiera, prima confine, poi porto, infine crocevia. Paolo Fabbri sintetizza: cambiano le mode, ma resta ben saldo un nucleo d'identità. La guerra l'ha distrutta, ma poi il talento dei suoi cittadini ha creato una Mecca del turismo partendo dal più brutto mare del Mediterraneo.
    La conclusione del capitolo è tristemente lombrosiana, come se il riminese avesse una visione delle cose finalizzata soltanto a mantenere bella, ricca, allegra la sua città. Nessuno ha spiegato a Maltese due cose: la città turistica è anagraficamente diversa da quella reale, piena essa stessa di immigrazione che aumenta con la stagione dei bagni, come si diceva un tempo. Poi il sorriso che un cameriere deve per contratto al cliente del bar o dell'albergo, non indica l'anima di un luogo.
    Maltese desidererebbe Rimini grattata dall'insana malinconia del garbino che i riminesi scacciano come unico ospite molesto. (Il garbino era detto il vento dei matti.) Aggiunge Maltese che ci manca la voglia di far pace con la nostra memoria. Qui nel dopoguerra non si consumarono vendette. Nessuno glielo ha ricordato. Peccato.

     

    Antonio Montanari
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    il Ponte, Rimini, settimanale, 31.7.2011


  • 1843, nasce il primo stabilimento balneare. 1873, si apre il Kursaal. 1993, il Comune lo celebra nel parco Fellini con una gigantografia di legno. Il 29 agosto 1861 (dal 17 marzo c'è il regno d'Italia) arriva la prima locomotiva sulla ferrovia che dal 4 ottobre ci collega con Bologna. Dal 10 novembre si arriva ad Ancona. Viaggio inaugurale con Vittorio Emanuele II. In stazione, molta gente e pochi evviva, annota Luigi Tonini.
    Dal 1885 nobili e borghesi ricevono dal Comune gratuitamente od a basso costo, appezzamenti e tratti di spiaggia acquistati dallo Stato. Il Comune crea la nuova industria turistica, i privati si dedicano all'edilizia. Fra 1882 e 1902 nasce il liberalismo riminese: municipalizzare le perdite dei privati. Lasciati in pace a guadagnare.
    I poveri del Borgo San Giuliano combattono con tisi, scrofola a tifo. In città le loro case (scrive Domenico Francolini, 1873) sono prive di luce ed aria, ed avvelenano "per tutta la vita il sangue, massime ai bambini". Nel 1855 e nel 1884 ci sono epidemie di colera favorite dalle pessime condizioni igieniche delle case anche di persone agiate. Il primo acquedotto, in poche strade del centro, è del 1908.
    Luglio 1876. Sul "Corriere della Sera" si legge: a Rimini "regna la miseria", c'è mancanza di investimenti sociali. Tra 1882 e 1887 le "Dame della carità" seguono più di 200 persone al giorno "tugurio per tugurio: sono vecchi abbandonati, vedove derelitte, puerpere". Sul finire del secolo, i bambini affidati alla pubblica assistenza sono circa 300.
    La Congregazione di Carità nel 1893 cita una "accozzaglia di femmine disgraziate che, ottenuto dall'Amministrazione un posto ove collocare il proprio giaciglio per la notte", di giorno sono costrette "a recarsi limosinando pel paese, o a rendere qualche piccolo servigio, compatibilmente colla loro età, per procacciarsi un tozzo di pane".
    Nel 1897 il foglio cattolico "L'Ausa" parla dei salariati agricoli periodici, i più poveri tra i lavoratori: miseria estrema, squallore ributtante di angusti abituri per più famiglie. Nel 1906 un giornale forlivese descrive la nostra campagna: abitazioni insane, pellagra, analfabetismo, debiti con i padroni, disoccupazione, senza un patto colonico.
    Dal 1867 Riccione su iniziativa del parroco don Carlo Tonini ospita gruppi di fanciulli bolognesi per le cure marine. Nel 1910 suor Isabella Soleri (1859-1953) con 358 soci fonda l'Aiuto materno e infantile. Nel 1925 vi si aggiunge l'ospedale per bambini.

    Antonio Montanari
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